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Le chiese

La Chiesa Collegiata di S. Andrea

La chiesa del nuovo borgo, nella quale si trasferì l'intitolazione a S.Andrea della vecchia chiesa di Vivinaia, venne costruita fra il 1332 e il 1334, data in cui le venne conferito il fonte battesimale in deroga ai privilegi della pieve di S. Piero in Campo, che finì nel 1408 per venire rimpiazzata in titolo e rendite dalla nuova chiesa. L'edificio, sostenuto nella parte absidale da forti costruzioni dovute al ripido crinale collinare, era originariamente più basso, come si rileva facilmente dal diverso colore del paramento in laterizio della facciata, che insiste su di una base in pietra che fascia la chiesa nella parte inferiore. Essendo la costruzione più alta del paese, si impedì per statuto a chiunque di salire sul tetto della chiesa affinché nessuno potesse guardare dentro la Fortezza; gli stessi motivi di sicurezza militare costrinsero a costruire un campanile basso come la facciata, che venne sostituito dall'attuale solo nel 1903 su disegno dell'architetto Giulio Bernardini; esso raggiunge quasi i 39 metri e vi trovano posto una campana cinquecentesca e due del '700. La facciata era ornata originariamente da una tettoia, appoggiata sulle paraste visibili ai lati, e fu poi sostituita da un portico che si allargava sulla piazza.

La costruzione originale, di cui, se si esclude la cripta, non restano all'interno che poche tracce (tra le quali i resti di un affresco trecentesco, con la figura del Redentore benedicente in cornice quadrilobata), venne completamente ristrutturata intorno al 1783 su disegno dell'architetto Giuseppe Vannetti da Varese e dell'ingegnere Giuseppe Bernardi, di Pescia; nell'800 si eseguirono gli stucchi lucidi dei pilastri e delle pareti ad opera dei fratelli Bernardo e Alessandro Bernardini, di Montecarlo; contribuirono agli affreschi della cupola i fiorentini Pietro Pezzati e Ferdinando Folchi. Le acquasantiere marmoree sono del sec. XVI. Entrando, da destra, si incontra l'altare della Concezione, del 1597, fatto erigere dalla munificenza di Carlo di Lorenzo Carmignani, con l'immagine della Vergine che schiaccia il serpente, del sec. XVII. Segue l'altare di S. Maria Maddalena, fondato nel 1391 da Nicolao di Martino con un cospicuo patrimonio ed ora di giuspatronato del Comune di Montecarlo, adornato da una tela ad olio di Francesco Bianchi, attivo a Milano e Pavia fra il 1730 e il '40. Più oltre, l'altare di S. Lucia, S. Biagio e S. Giovanni, con quadro del pittore Antonio Franchi da Villabasilica (1634-1709), commissionato da Andrea Colucci, docente universitario pisano in medicina, di origine montecarlese: nel dipinto sono rappresentati i Santi titolari della cappella, insieme a S. Francesco Saverio e a S. Gaetano da Thiene. La cripta, con il relativo rialzamento dell'area presbiterale rispetto al piano della chiesa, con le sue volte a vela poggiate su robusti pilastri, (che custodiva in origine Le scritture del Comune in casse a più chiavi) conserva affreschi del sec. XVI (i quattro Evangelisti ed altre figure di oscuro significato) e fu sede nel passato della Compagnia della Madonna del Soccorso, che vi si riuniva periodicamente, nonché sepolcreto della medesima, del quale si riconoscono ancora le imboccature nell'ammattonato del pavimento. Era decorata da altri affreschi più tardi, oggi staccati e conservati nel Museo Parrocchiale. Vi si trovano le tombe del Vescovo di Sovana e Pitigliano, Felice Seghieri, morto trentanovenne nel 1759, e di Jacopo Bianchi, facoltoso montecarlese e benefattore della chiesa. Si accede al presbiterio da due rampe con parapetti e balaustre recuperati dalla demolizione di vecchie cappelle: alla sommità si trovano due putti in marmo, che giacciono addormentati, databili alla fine del '600 - primi del '700. All'interno dell'Altare maggiore, del sec. XVIII, si conserva l'urna lignea dorata contenente le reliquie di S. Vincenzino, giunte a Montecarlo nel 1654 dalle catacombe romane di S. Ciriaca, alle spalle dell'altare si trovano il coro ligneo settecentesco e il grande leggio corale coevo: sovrasta il coro il quadro del pesciatino Innocenzo Ansaldi (1734-1816), che raffigura S. Andrea nell'atto di accogliere l'invito del Cristo a farsi pescatore di anime. L'altare a sinistra del presbiterio, del sec. XVI, dedicato all'Assunta (rappresentata nel quadro del fiorentino Cosimo Gamberucci, del 1610) ed ornato da colonne con capitello corinzio, architrave e lunetta con festoni e cherubini nel fregio, mostra nell'imbasamento delle colonne gli stemmi delle famiglie giuspatrone Tognetti e Pellegrini l'altare di destra, anch'esso cinquecentesco, è dedicato a S. Lorenzo, la cui immagine forse è attribuibile al bolognese Alessandro Tiarini (1577-1668): fu eretto dalla famiglia Lorenzini, il cui stemma parlante, la grata di S. Lorenzo ornata delle palme del martirio, è visibile ai piedi delle colonne.

Nella Sacrestia, ove si trova il grandissimo bancone settecentesco, opera del falegname Pietro Paoleschi, sono esposti diversi quadri ad olio, tutti dei secoli XVII e XVIII, tra i quali l'immagine di S. Barbara, originariamente conservata nella cappella della Fortezza; la grande stanza è ornata da tutta una quadreria particolare, nella quale spiccano l'immagine di S. Antonio da Padova, del sec. XVII, il Volto Santo di Lucca, il ritratto di S. Carlo Borromeo, altro protettore del paese (vi si legge il pentametro "Protege qui tecum Carole nomen habet").

Ridiscendendo nella navata principale, si incontra la Cappella del SS. Sacramento, ampliata nel 1806 su disegno di Innocenzo Ansaldi, occupando in parte l'oratorio del Rosario: vi si conserva un crocifisso ligneo del sec. XV, di scuola fiorentina, dietro il quale spicca uno splendido ornato seicentesco a forma di croce, di legno dorato. Segue la Cappella del Rosario, ora sede del Museo Parrocchiale. In essa è visibile il Fonte Battesimale, del 1596, circondato da membrature architettoniche cinquecentesche, inserito in una cappella coeva ricavata nel vano del campanile. Le opere esposte sono la Madonna col Bambino, tavola del pittore lucchese Francesco Anguilla, firmata e datata 1434; il S. Antonio abate, recentemente restaurato, risalente al secondo decennio del '400, di mano di Francesco di Valdambrino, contemporaneo di Jacopo della Quercia, il Gesù Morto, anch'esso restaurato da poco, del sec. XVII-XVIII; la Madonna in trono col Bambino e i santi Domenico e Caterina, del 1667, dipinta dal fiorentino Camillo Ciai, operante a Lucca, è esposto inoltre il grande affresco, oggi staccato, raffigurante l'Ultima Cena, del sec. XVIII, un'opera inconsueta in quanto dipinta ad olio. Nelle nicchie, reliquiari ed oggetti liturgici dei secoli XVII e XVIII, alcuni dei quali appartenenti al ricco tesoro della chiesa. Ritornati in chiesa, si incontra a destra la cappella della Madonna del Soccorso: elevata alla dignità di santuario dal Vescovo di Pescia nel 1961, racchiude nella seicentesca cornice marmorea dell'altare l'affresco di scuola fiorentina della seconda metà del sec. XV, trasportato nella posizione attuale nel '700 e restaurato nel 1995, rappresentante la Madonna nell'atto di proteggere un bambino dalle grinfie del Diavolo. La pittura, da secoli oggetto di devozione da parte delle popolazioni locali e continuatrice di più antico culto della Vergine risalente alla fine del sec. XIV (un'immagine mariana si trovava, almeno fino ai primi del '700, nella lunetta esterna del portale della chiesa, fatta dipingere da Giovanni Mingogi, vicario lucchese di Montecarlo nel 1387), venne eseguita nel clima di rinnovata fede mariana che si creò in Italia dopo lo sbarco dei Turchi ad Otranto, nel 1480: alla Vergine vennero attribuiti numerosi miracoli, quali l'apparizione per cacciare i Pisani, alla fine del '400, e la salvezza del paese dall'epidemia di peste del 1631: nella grandissima moria di quell'anno non ci furono vittime tra le mura di Montecarlo, e si attribuì alla Vergine la salvezza totale dal morbo. Si passa all'altare di 5. Silvestro, il quadro del quale venne dipinto dal fiorentino Francesco Conti, allievo di Carlo Maratta, quando gli fu commissionato nel 1738 dalla famiglia fiorentina dei Rucellai. L'altare fu eretto dopo il 1487 per lascito del montecarlese Gherardo di Arrigo di Barsante, detto Billò, che, oltre ad una ricca dote patrimoniale per l'altare stesso, lasciò anche al Comune di Montecarlo una quantità di beni immobili, col ricavato dei quali costituire le doti di due fanciulle povere ogni anno. Nella parete interna della facciata si trova l'organo, risalente al 1742, con numerose aggiunte e restauri nel corso del tempo, soprattutto nell'impianto della grande cantoria, del 1782: la presenza della musica dell'organo a Montecarlo risale almeno al 1554, armo in cui le "piastre" che lo componevano furono sotterrate dall'organista prete Piero Panzani per sotterrarle al saccheggio dei Francesi.